domenica 18 gennaio 2009

racconto a puntate

La fabbrica di Nocella
Prima puntata

Un bel giorno di maggio, nuovo nuovo nella sua mattina festosa, brillante di primavera, decisi di guidare la mia mente in un luogo sconosciuto, vivo di personaggi nuovi e freschi come quel mattino. Incontrai per la prima volta il buon orso Vik, guardiano del bosco di noci. Portava un giubbotto blu e nove viti da cacciatore, un berretto di felpa e un bel vaso di miele per lo spuntino di mezzodì. Aveva una barbetta chiara e viaggiava di noce in noce e di felce in felce, canticchiando e ascoltando le voci del bosco. Con le viti afferrava le lettere che gli scrivevano gli scoiattoli e le marmotte, messe bene in vista sull’uscio delle loro tane, e se le appuntava alla barba, prima di tutto per non rovinarle, e poi perché il giubbotto blu non aveva tasche.
Le lettere parlavano tutte di un bieco progetto di alcuni umani che volevano valorizzare quel piccolo mucchio di natura selvaggia, così dicevano, costruendoci nel bel mezzo una fabbrica di Nocella, una crema di noci multiuso, dolce, salata, cremosa, cotogna. Per erigere la fabbrica era necessario abbattere buona parte del bosco e quindi le noci non sarebbero bastate, ma non importava perché per la crema di noci bastava un po’ d’acqua, farina e aromi chimici, zucchero e sale. La Nocella le noci non le aveva mai viste, ma la fabbrica nel bosco di noci avrebbe dato un’ottima impressione ai clienti. La pubblicità avrebbe fatto il resto.
Gli scoiattoli e le marmotte erano stati invitati a recarsi all’ufficio assunzioni per un colloquio: che magnifica opportunità, era scritto, lavorare in fabbrica a due salti da casa. Ma quale casa, se al posto degli alberi con nido ci veniva la fabbrica? Questo chiedevano a Vik gli scoiattoli e le marmotte.
Bisogna pensarci su, ragionava Vik guardando le lettere: non sapeva leggere, però vedeva lontano e la faccenda della fabbrica gli piaceva poco. Le api ad esempio dove sarebbero finite, dove si sarebbe rifornito di buon miele? Poi, gli uccellini che rallegravano tutti col loro canto, desti fin dall’aurora, dove sarebbero migrati? Vik aveva inteso dire che per lui c’era un posto di alto dirigente, ma mica gli piaceva l’idea di lavorare in fabbrica, gli garbava restare lì a fare l’orso guardiano del bosco. Così l’orso ragionava, meglio di molti umani. Ben sapeva che, a differenza del popolo animale, l’uomo corre dietro a un buffo progresso che toglie il sale alla vita… e anche il miele.
Volle il fato che ci incontrassimo vicino al noce più anziano, le cui fronde secolari avevano protetto i draghi dai cavalieri erranti e avevano assistito a dolci storie d’amore di cui portavano un ricordo di cuori incisi sulla corteccia.
Parlo piuttosto bene la lingua universale dei boschi; e l’orso nonostante la stazza aveva un aspetto bonario e gentile. Mi piacque subito e gli chiesi perché portasse tutte quelle lettere avvitate alla barba. Mi offrì una tazza di miele e l’albero mi offrì le sue noci migliori. Parlammo.
Le opinioni degli alberi sono importanti, ma noi non le stiamo a sentire. Eppure parlano chiaro, ascoltate, se vi capita, il vento che passa tra le foglie: capirete un sacco di cose. Il noce ci parlò del delicato essere del bosco, di mille piccoli fatti d’ogni giorno. Era un po’amareggiato dall’atteggiamento di scoiattoli e marmotte, che stavano giudicando la faccenda da un punto di vista da umani: senza pensare al destino degli alberi, ma solo preoccupandosi delle loro case. Io non ci vedevo gran differenza, visto che le loro case erano giusto negli alberi, ma il noce ne sapeva più di me.

Nessun commento: