sabato 31 gennaio 2009

racconto a puntate

La fabbrica di Nocella
Terza e ultima puntata

“poeti riletti
milioni provetti
portateci aiuto
potente e saluto”
improvvisai. Era un po’ scarsa, ma avrebbero capito. E subito comparvero in fila tre poeti barbuti, una fata verdolina a cui Cracrà indirizzò un gracidio che significava ciao mamma, una masca vecchia vecchia, uno gnomo cercafunghi, un cane greve di anni e esperienza e un micio tutto nero. A vederli così, nessuno avrebbe pensato a una forza imbattibile, e infatti Vik li squadrò a dovere, perplesso. Ma non aveva altro e poi era molto beneducato, per cui salutò gentilmente e offrì il suo miele. I poeti ne furono deliziati.
Miele squisito, mi lecco anche il dito, poetarono in coro, compresi cane e micio: e fu come un tam tam boschivo, un richiamo alle forze segrete e fiduciose del bosco di noci, un via! gridato alla partenza per la giusta battaglia. Stormi di storni si raccolsero in due giorni, entrando a far parte dell’esercito dei poeti.
“andate davanti alla sala dei colloqui, e, CACATE!” ordinò la vecchia masca, ridendo.
“dalla cacca di storno non c’è ritorno” disse un saggio poeta.
Andarono. Due giorni di fila il cielo fu nero di storni cacatori, finchè la porta di entrata fu completamente bloccata.
Noi sotto il noce sentivamo gli effluvi stornellici e ridevamo di cuore, immergendoci nella visione a distanza di tutti quegli imprenditori costretti a munirsi di pala e lavorare sodo per rientrare nei loro uffici!
“non si fermeranno per così poco” osservò Vik, distribuendo il miele.
“no, ma ora ci rendiamo fungaioli” disse lo gnomo: e detto fatto, davanti agli uffici spuntò un bel muro di funghi bianchi e rossi, umidi e fragranti e abitati da gnomi fungaioli. Ma gli uomini dell’ufficio non credevano negli gnomi e volevano friggere i funghi, ma più ne raccoglievano e più ne spuntavano, come funghi proprio! E gli gnomi entravano nei calzini e addentavano caviglie e polpacci a più non posso.
“Accidenti che morsi ste zanzare”, dicevano a turno tre dei raccoglitori, grattandosi furiosamente. Un bel po’ dopo, con tutti i recipienti colmi, dai cestini della carta straccia ai portapenne, decisero che poteva bastare. Lì fuori c’era una foresta di funghi grandi e piccini, ma intanto potevano godersi un buon pranzetto a base di funghi trifolati. In sala mensa avevano padelle e casseruole, aglio a spicchi e olio extravergine. A qualcuno il dubbio che quei funghi fossero velenosi era venuto, ma il direttore capo era così sicuro che nessuno osò contraddirlo mentre friggeva, salava, mescolava e assaggiava. Ma i funghi degli gnomi, si sa, danno strane visioni, e proprio il direttore capo vide all’improvviso il vecchio Noce con un gruppo di esseri stranissimi appollaiati lì sotto a sbafare miele.
Strizzò gli occhi e scosse la testa:
“impossibile” disse “nel mondo moderno i poeti non esistono più, non c’è tempo!”
Intanto anche gli altri avevano facce verdastre e occhi sbarrati, chi vedeva ranocchi, chi fatine verdi, chi gatti neri e cani stravecchi… mal di pancia collettivo, ma quello era il meno, le visioni erano spaventose… era il senso di allegria e unione del nostro gruppo che li spaventava. E noi ridevamo, buttati a terra tra le fronde del vecchio Noce.
Vennero da noi, tenendosi per la zampa, lo scoiattolo Elvid e la marmotta Isetta, intimiditi e gentili, non erano soli, rappresentavano in due tutta la marmotteria e scoiattolaggine del bosco.
“scusateci se siamo stati così sciocchi da fidarci degli umani” esordì Elvid “per fortuna abbiamo capito che saremmo stati distrutti insieme al bosco” diede una pacca a Isetta, che concluse:
“siamo qui per aiutarvi!”
La meravigliosa Bruk sorrise in rima, come solo lei sapeva fare, e disse:
“grande giornata si è oggi levata, a nostra gloria è qui la vittoria, danziamo felici che siam tutti amici!”
“miao, bau!” approvarono il micetto e il vecchio cane, che di amicizia se ne intendevano. E tutti iniziammo a danzare e il ranocchio era un bel principe e io ero un bel giovane e gli imprenditori laggiù stavano su internet a fare il biglietto aereo per la gran bretagna, dove speravano di trovare boschi più innocui, perché già stavano pensando alla Funghella, una crema di funghi multiuso per crostini e crostate. Un vero imprenditore non si scoraggia mai.
“in due salti vado lì e avverto i troll” disse Cracrà, ridiventando ranocchio. “c’è un clima fantastico da quelle parti!”
“torna tardi, mio bel suggeritore, fai con calma, carissimo” rise Bruk.
“e trova moglie una buona volta, figlio scapestrato” aggiunse la fatina.
Era tempo di andare, breve era stata l’avventura ma avevo un sacco di nuovi amici con cui presto mi sarei ritrovato, e grazie a loro tornai felice a casa.

sabato 24 gennaio 2009

racconto a puntate

La fabbrica di Nocella
Seconda puntata.

Infatti gli umani della fabbrica avevano previsto ogni cosa, e ben si stavano organizzando; stavano quindi lavorando al progetto di un complesso di villette a schiera per marmotte al pianterreno e scoiattoli al primo piano, dove sarebbero entrati saltando dai rami dei pochi noci rimasti. Inorridito, ascoltavo e mi chiedevo come impedire lo scempio del bosco che fin dall’infanzia era stato il mio rifugio ed era anche memoria di secoli e di eventi. Il vecchio noce avrebbe potuto raccontare storie per anni, scrivere dozzine di libri, cantare grandiose canzoni. E anch’io ne ero partecipe.
“immagino”, dissi in linguaggio boschivo, “che ci voglia un aiuto, qualcuno che abbia esperienza deve parlare al popolo dei boschi prima che gli scoiattoli, che sono velocissimi, vadano ai colloqui di ingresso perché gli umani sono tosti, sapete… possono convincere uno scoiattolo a lavorare dodici ore di fila in cambio di una decina di noci, o peggio, di una fetta di pane e Nocella.”
“e chi può aiutarci?” domandò Vik, triste. “Per fortuna le marmotte sono dormiglione e prima che si decidano ad andare a lavorare…”
“ci può venire in soccorso Bruk, una Poetessa grande quasi quanto te, Vik. Le poetesse hanno risposte per molti problemi! “
Bruk era mia amica da moltissimi anni: bellissima e grande, formava delle rime a volte un tantino ermetiche dato che riteneva che per risolvere un problema ci si dovesse almeno sforzare di capirlo. Per questo erano in molti a rivolgersi a lei. Bruk aveva anche un ranocchio portarime, Cracrà, che al bisogno le faceva da segretario e suggeritore. Io conoscevo la parola d’ordine tre volte ripetibile per chiamare Cracrà e la dissi nel pensiero, perché è segretissima. Il ranocchio venne saltando, verde e lucido d’acqua piovana: il tempo si era messo al brutto e lui aveva incontrato un temporale coi fiocchi.
“vedete un po’ che magnifica giornata!” disse allegro. Il vecchio Noce mosse il suo folto capo greve di foglie, amava anche lui la pioggia. E noi sotto di lui eravamo al riparo. Gentilmente raccontammo al ranocchio le nuove notizie del bosco di noci, non dimenticammo nulla…e Bruk apparve improvvisa e luminosa alla fine del racconto.
“di qua e di là dai noci
giungono guai veloci” poetò, sedendosi mentre iniziava a diluviare. Cracrà le saltò in tasca, facendo sporgere la testa verde chiaro.
“in altre faccende, molte vicende, chi non s’arrende ben si…”
“difende, sorprende, accende, riprende” suggerì Cracrà. Bruk sospirò, a volte il suo portarime era un po’ precipitoso.
“difende” concluse. Io allora ricordai di quando lo Spirito verde dei boschi si era alleato con Bruk e i poeti, gli animali e le fate e le masche, per impedire la costruzione di un fast food nel Bosco dei Poeti; però lì erano tutti d’accordo, mentre qui gli animali erano incerti… poi se ben rammentavo, Cracrà era in realtà un principe in incognito, figlio del re dello Spirito verde dei boschi. Mi aveva raccontato la storia la mia amica Camilla, che mi aveva poi fatto conoscere Bruk. E capii che Bruk voleva suggerire di rivolgersi ai poeti, che dal loro bosco foltissimo ci avrebbero potuti aiutare convocando i loro alleati.

domenica 18 gennaio 2009

racconto a puntate

La fabbrica di Nocella
Prima puntata

Un bel giorno di maggio, nuovo nuovo nella sua mattina festosa, brillante di primavera, decisi di guidare la mia mente in un luogo sconosciuto, vivo di personaggi nuovi e freschi come quel mattino. Incontrai per la prima volta il buon orso Vik, guardiano del bosco di noci. Portava un giubbotto blu e nove viti da cacciatore, un berretto di felpa e un bel vaso di miele per lo spuntino di mezzodì. Aveva una barbetta chiara e viaggiava di noce in noce e di felce in felce, canticchiando e ascoltando le voci del bosco. Con le viti afferrava le lettere che gli scrivevano gli scoiattoli e le marmotte, messe bene in vista sull’uscio delle loro tane, e se le appuntava alla barba, prima di tutto per non rovinarle, e poi perché il giubbotto blu non aveva tasche.
Le lettere parlavano tutte di un bieco progetto di alcuni umani che volevano valorizzare quel piccolo mucchio di natura selvaggia, così dicevano, costruendoci nel bel mezzo una fabbrica di Nocella, una crema di noci multiuso, dolce, salata, cremosa, cotogna. Per erigere la fabbrica era necessario abbattere buona parte del bosco e quindi le noci non sarebbero bastate, ma non importava perché per la crema di noci bastava un po’ d’acqua, farina e aromi chimici, zucchero e sale. La Nocella le noci non le aveva mai viste, ma la fabbrica nel bosco di noci avrebbe dato un’ottima impressione ai clienti. La pubblicità avrebbe fatto il resto.
Gli scoiattoli e le marmotte erano stati invitati a recarsi all’ufficio assunzioni per un colloquio: che magnifica opportunità, era scritto, lavorare in fabbrica a due salti da casa. Ma quale casa, se al posto degli alberi con nido ci veniva la fabbrica? Questo chiedevano a Vik gli scoiattoli e le marmotte.
Bisogna pensarci su, ragionava Vik guardando le lettere: non sapeva leggere, però vedeva lontano e la faccenda della fabbrica gli piaceva poco. Le api ad esempio dove sarebbero finite, dove si sarebbe rifornito di buon miele? Poi, gli uccellini che rallegravano tutti col loro canto, desti fin dall’aurora, dove sarebbero migrati? Vik aveva inteso dire che per lui c’era un posto di alto dirigente, ma mica gli piaceva l’idea di lavorare in fabbrica, gli garbava restare lì a fare l’orso guardiano del bosco. Così l’orso ragionava, meglio di molti umani. Ben sapeva che, a differenza del popolo animale, l’uomo corre dietro a un buffo progresso che toglie il sale alla vita… e anche il miele.
Volle il fato che ci incontrassimo vicino al noce più anziano, le cui fronde secolari avevano protetto i draghi dai cavalieri erranti e avevano assistito a dolci storie d’amore di cui portavano un ricordo di cuori incisi sulla corteccia.
Parlo piuttosto bene la lingua universale dei boschi; e l’orso nonostante la stazza aveva un aspetto bonario e gentile. Mi piacque subito e gli chiesi perché portasse tutte quelle lettere avvitate alla barba. Mi offrì una tazza di miele e l’albero mi offrì le sue noci migliori. Parlammo.
Le opinioni degli alberi sono importanti, ma noi non le stiamo a sentire. Eppure parlano chiaro, ascoltate, se vi capita, il vento che passa tra le foglie: capirete un sacco di cose. Il noce ci parlò del delicato essere del bosco, di mille piccoli fatti d’ogni giorno. Era un po’amareggiato dall’atteggiamento di scoiattoli e marmotte, che stavano giudicando la faccenda da un punto di vista da umani: senza pensare al destino degli alberi, ma solo preoccupandosi delle loro case. Io non ci vedevo gran differenza, visto che le loro case erano giusto negli alberi, ma il noce ne sapeva più di me.

sabato 17 gennaio 2009

natale

Oggi.

resta un giorno speciale
natale
e scambi di piccoli doni
ma il dono più grande è una stella
mia sorella fra noi.